Ai membri sacri di
un’antica tribù sudamericana venivano cavati gli occhi affinché i loro
legittimi proprietari non potessero conoscere il mondo e non ne venissero così
intaccati nelle loro grandi potenzialità. I re e le regine di quelle tribù se
ne stavano rinchiusi in caverne isolate, in modo da rimanere integri e puliti
nei confronti di qualsiasi distrazione o tentazione.
Noi, comuni mortali, re e
regine di un quotidiano già abbastanza faticoso, non possiamo restarcene chiusi
in casa, né evitare di vedere come vanno le cose in Grecia, in Libia, in Cina,
nel Texas…
Le nostre sacralità sono
la pizza del sabato sera e la famiglia. Niente capacità divinatorie, per noi, e
niente riparo dalle brutture del mondo esterno.
Abbiamo vite semplici: di
certe non verremo ricordati per particolari rituali sociali di grandezza
storica o per speciali trattamenti verso gli anziani delle nostre comunità.
Diciamolo: noi del Terzo millennio siamo un po’ sfigati.
E ci cresce l’ansia.
Yaia cucina torte e
muffin, quand’è stressata.
Maggiolina salassa il
conto in banca e trasfonde in vestiti.
Glade, semplicemente,
sparisce dalla circolazione.
Una Persona Che Conosco
non dorme ed è facile alla commozione.
Sole si fa lunghe guidate
solitarie in posti vicini all’acqua (dovrei preoccuparmene?).
Io, quando l’ansia mi
arriva alle caviglie, ballo da sola. Oppure nego la realtà e mi metto a
dormire.
Noi del Terzo millennio
non saremo proprio il massimo, come persone, però abbiamo escogitato un sacco
di modi diversi e belli per sconfiggere la paura. Probabilmente, se avessimo
incontrato uno della tribù dei cava-occhi ed avessimo sospettato che quello
stava per riservarci uno dei suoi trattamenti per la sacralità, ci saremmo
accucciati per terra ed avremmo risposto le nostre speranze nella
riflessuologia plantare, oppure ci saremmo messi al suo fianco per scattare un
selfie.
Non dei geni, certo, ma
provate a trovarmi una società più simpatica della nostra.
Libro consigliato: Il manoscritto di Brodie, Borges.
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