mercoledì 20 marzo 2013

On friendship


Ovvero: Una bella gatta da pelare

Io e Glade abbiamo avuto la nostra prima vera discussione.
Nei mesi scorsi i nostri rapporti si sono raffreddati come se qualcuno avesse acceso tra noi il Pinguino Delonghi sulla modalità “Siberia”, e nessuna delle due sembrava voler sbrinare la situazione.
Tra una frecciatina e l’altra, mi sono messa a riflettere sul senso della nostra amicizia, e, più in generale, sull’amicizia tra donne. Un tipo di relazione assai complicato.
Perché, poi? Tra ragazze dovremmo capirci al volo, essere sulla stessa lunghezza d’onda, aiutarci a vicenda… Sono solo luoghi comuni, questi?
In effetti, io ho sempre avuto più amicizie maschili che femminili. Le donne sono troppo contorte, mi dicevo. Cervellotiche. Competitive. Sono gatte che tornano dal padrone solo per poter gustare ancora una volta quelle squisite scatolette di cibo che non si trovano in natura. L’uomo è più disinteressato, e anche più oggettivo quando si tratta di dare consigli.
Era un’illusione ottica, visto che da un anno convivo con il mio migliore amico (e non sono sicura che lui non torni a casa solo perché non riesce a procacciarsi il cibo in natura!).

Eppure tutte le ragazze che conosco si spostano a coppie o a gruppetti, migrando verso le toilettes dei locali e facendo iscrizioni di massa in palestra.
Perché, nonostante tutto, abbiamo tanto bisogno della compagnia di altre donne? Dico “nonostante tutto” a ragion veduta: cresciute come siamo cresciute, purtroppo siamo costantemente sul chi vive in presenza di altre donne, anche se le consideriamo amiche. Dapprima avviene il confronto esteriore: ma guarda come è vestita, non si può abbinare quella gonna con quella giacca, dio è ingrassata, e come fa ad essere comunque più gnocca di me??
Poi c’è la gara per chi arriva prima nel lavoro: la carriera sembra stabilire quanto sei intelligente, e forse anche quanto puoi piacere ad un uomo.
Ecco, terzo e dolentissimo punto: piacere agli uomini. Davanti a questo obiettivo, non c’è amicizia che tenga. Lo trovo tristissimo e molto al di sotto della possibilità che una donna ha di dare affetto a una sua “collega”. Perché non riusciamo quasi mai a essere semplicemente noi stesse, invece di sacrificare ogni volta un pezzetto della nostra vita sociale per posizionarci all’ombra di un maschio?
Forse perché essere solo noi stesse ci spaventa.  Non ci siamo abituate. Veniamo da una cultura che ci connota non come Essenziali, Uniche, degne di esistere come soli al centro di costellazioni, ma come stelle, lucette anonime e rassicuranti che vanno a comporre una più ampia figura. Siamo così poco avvezze a concepirci come “sole” che l’idea di rimanerci sembra non far proprio per noi.
Eppure bisogna riuscirci. Dobbiamo conoscere la nostra luce, anche se è fioca e con le occhiaie, e imparare a scaldarci da sole. E’ difficile, ma non esiste altro modo di diventare grandi.
Io e Glade abbiamo litigato proprio per questo motivo: stavamo cambiando e ne eravamo entrambe terrorizzate. Così abbiamo preferito prendercela con l’altra ed instaurare una guerra fredda tutta al femminile piuttosto che darci apertamente delle “gatte”.
Non mi rendevo conto che non c’è nessun padrone.
Sono gatta anch’io, e se ci pensiamo bene i gatti sono molto più stupidini di quello che sembra. Si spaventano per un nonnulla, si rotolano sulla pancia non appena iniziamo ad accarezzarli, giocano con fili e palline di carta o, in mancanza d’altro, con la loro coda.
Siamo tutti un po’ gatti. Viviamo almeno nove vite dentro la nostra, e quando riceviamo un colpo sul muso perdiamo l’equilibrio e rimaniamo doloranti e disorientati.
E di colpi sul muso è necessario prenderne tanti per arrivare a capire il valore delle cose. Delle persone.
Certo ci si potrà odiare un po’ per i colpi ricevuti e inferti. Le critiche e i ripensamenti non mancheranno. Le strade potrebbero andare in direzioni diverse.
Dipende tutto dal valore che si deciderà di dare al rapporto. Sarà una bella gatta da pelare.




Una canzone tosta per una dura lotta!

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