lunedì 25 febbraio 2013

Più male che bene


Ovvero: L’ombelico non si cancella

Mangiare è bello.
Mangiare tanto è bellissimo.
E’ divertente cucinare, invitare amici e starci a tavola per ore, aspettare che i biscotti siano cotti, che il pollo sia dorato e che il vino scorra a fiumi.
E dopo si ha quella tiepida sensazione di torpore –l’abbiocco- che ci conduce beatamente sul divano a fare il chilo.
La settimana seguente, un altro chilo.
Settimana dopo settimana, cena dopo cena, la bellezza si trasforma in chili e… ci si ritrova obesi in un battibaleno, di solito proprio quando sta per iniziare la stagione estiva. E il costume da bagno grida pietà.
E’ come lasciarsi sotto Natale. La situazione sembra disperata, anche peggiore di quella che è la realtà, e i metodi drastici che adottiamo per risolverla non servono a niente. Ci vorrebbe una liposuzione.
Ci vorrebbe una lobotomia.

Se prevenire è meglio che curare, noi amanti (della forchetta) siamo i campioni dei rimedi tardivi: verso maggio ci proviamo, a trattenerci, per qualche giorno ci riusciamo pure. Ma poi la voglia di dolcezza e la necessità di assumere un po’ di calorie tornano baldanzose a pizzicare il nostro organismo. Ed è subito chilo.
Sentite: io non sono contraria al grasso. La tondità è un modo di essere, uno stile di vita che influenza tutte le cose intorno a noi: vestiti, ironia, scelte politiche e televisive… Chi è un po’ sovrappeso, secondo  me, ha una marcia in più a livello caratteriale, vuoi per la presenza fisica “invadente”, vuoi per il fatto di aver sempre subìto scherni dalla schiera degli snelli. Essere in carne significa esattamente questo: essere carnali, passionali, sanguigni, pieni di ferro e quindi colorati, e quindi belli da vedere.
Essere rotondi però significa anche essere un po’ “a cerchio”: chiusi, finiti, confinati.
E noi invece vogliamo essere sconfinati.
Il conflitto è forte. Chi la spunta?

La vera lotta, direi, non è tra magri e grassi, ma tra chi riconosce che il troppo cibo fa male e chi invece non vuole ammetterlo, perché è gusto-dipendente ed ha paura di perdere la sua fonte di allegria quotidiana.
Nelle relazioni, questa categoria di persone di solito si nutre del rapporto fino all’ultima briciola, anzi, di più, fino a esaurimento scorte. Sono persone che leccano la scatoletta del tonno vuota e si tagliano la lingua con il coperchio di latta.
Come si fa a capire quando è il momento di dire “basta, sono al limite”? Oppure “ho superato il limite”?
La cosa bella, nell’alimentazione, è che sappiamo con precisione ciò che ci fa male e ciò che ci fa bene, qual è il fabbisogno giornaliero di un adulto, come possiamo fare a smaltire lo strato di strutto lardellato che ci ammanta e rallenta le nostre giornate.
Purtroppo, a scuola non viene insegnato nulla di utile in caso di abbuffata d’amore, le amicizie simbiotiche non rientrano nella tabella del colesterolo cattivo, nessuno sa dirci a quante calorie –a quanti baci- corrisponda il personale bisogno d’affetto, né perché la fine di un rapporto dolga in tutto il corpo, perfino nel cervello e nei capelli, e non solo nella pancia come capita con l’indigestione. Perché davanti a un piatto ormai vuoto ci sentiamo pieni da scoppiare, mentre in quelli che si riveleranno gli ultimi mesi di una relazione ci sembra di scoppiare a causa del vuoto?

Quest’estate io e Yaia abbiamo abusato di rum e pera. Lei aveva da poco lasciato il suo fidanzato storico, io volevo esserle solidale. Dall’esperienza ho imparato tre cose: A, che anche l’alcol fa ingrassare (sette chili), B, che esagerare serve, per un po’, ogni tanto, se non altro.
La terza cosa che ho imparato è che la natura ci ha dotato di un sesto senso (neanche poi tanto sesto) attraverso il quale possiamo essere in grado di fermarci. Nel nostro cuore, sappiamo sempre quando dovremmo smetterla. Ce ne accorgiamo con i capelli: sono sfibrati e hanno le doppie punte? Tagliare! O con un brutto tema: se il soggetto non è horror e lo scritto fa ugualmente rabbrividire, meglio strappare la pagina e ricominciare da capo.
Non è altrettanto indolore lo strappo che dobbiamo operare quando ci accorgiamo che una persona ci fa più male che bene, ma lo sappiamo sempre, e, superata l’adolescenza –età in cui è lecito assaggiare un po’ di tutto e crescere anche di peso-, dobbiamo essere onesti con noi stessi e avere il coraggio di tagliare, a partire dal cordone ombelicale.
Consapevoli che, comunque, l’ombelico non si cancella.

                                         

                                               

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